Volevo aspettare di scrivere di Wrecking Ball, il recente nuovo LP di Bruce Springsteen, dopo averlo ascoltato a lungo. Ma siccome non ho mai troppa voglia di ascoltarlo, tanto vale che ne parli ora. La prima cosa che voglio dire è che “è solo rock & roll”: che si parli di folk degli Appalachi o di un singolo a Top Of The Pops, è solo rock & roll. Non sono importanti le intenzioni, sono importanti i risultati. Non è importante quello che il musicista vuole realizzare, ma quello che effettivamente realizza. Una canzoncina può essere molto meglio di una poesia, se è effettivamente così.
Wrecking Ball è un irato atto di ribellione di Bruce Springsteen - una superstar che potrebbe godersi la vita nel suo Eden personale che invece non può fare a meno di esporsi in prima persona per creare a sessant’anni un disco politico di canzoni di protesta in un momento in cui il sogno del suo Paese sembra definitivamente tradito. Questo è bello, e siamo tutti con lui. Ti abbracciamo Bruce, e abbracciamo il Jack Of All Trades che canti. Però questo disco non è Nebraska e non è Darkness On The Edge Of Town.
“Chi se lo aspettava un altro Darkness?” mi chiedete?
Io me lo aspettavo, io lo volevo, perché questo è il Boss.
Il problema con Bruce è che sembra aver finito le canzoni. Non è questione di band, di arrangiamenti, di produttori, di suono. È questione di canzoni. Di quelle belle dell’album tre le avevamo già sentite, e le avevamo già sentite perché Bruce le aveva già pubblicate.
Wrecking Ball è bella, era già uscita su singolo con la band, ed a me piaceva di più che questa con la “big band folk dal suono attuale”. Era la canzone che la E Street Band ha eseguito in occasione dell’addio al Giant Stadium nel New Jersey, lo stadio dei Giants.
Land Of Hope And Dreams ed American Land sono classici del live show con la E Street Band. Infatti c’è l’ultimo assolo di sax di Clarence “Big Man” Clemons.
Niente di male che tre canzoni, se sono così buone, abbiano trovato un posto in un album tutto loro (a partire dal titolo). Il problema sono le altre canzoni, che ricordano tanto i miei temini delle scuole medie quando non avevo un accidenti da scrivere e non lesinavo in superlativi nel tentativo di colmare il vuoto. Allo stesso modo gli arrangiamenti (moderni) di WB sono spesso sopra le righe, per truccare canzoni un po’ povere.
Alcune, come il singolo radiofonico (si fa per dire) We Take Care Of Our Own, proprio non le posso sentire. Alcune, come Rocky Ground (bellino il rap di Michelle Moore) o We Are ALive o Swallowed Up In The Belly Of The Whale sono buone. Specialmente We Are Alive.
Poi, fra tutte, c’è una canzone, una sola, che è un capolavoro, un seven-eleven, una di quelle canzoni memorabili che scrive il Boss. È un lento di sei minuti, si intitola Jack Of All Trades, che vuol dire il tuttofare, e canta di un american hero, un common man, un blue collar, un uomo che ha perso il lavoro e trova dentro di sé la forza, la dignità, il coraggio di restare in piedi, di confermare il proprio ruolo, di far coraggio alla propria famiglia, alle persone che ama e che credono in lui. Un uomo che cerca il coraggio di tranquillizzare una famiglia con parole come “martellerò i chiodi, sistemerò le pietre, raccoglierò i tuoi raccolti quando saranno cresciuti e maturi, aggiusterò quel motore e lo farò ripartire perché so fare di tutto e tutto andrà per il meglio, so fare di tutto e noi staremo bene…”
Ma aspettate, perché questa non è neppure la metà. Perché questo common man a cui nella canzone va tutta la nostra solidarietà, il nostro amore, questo uomo mite e coraggioso alla fine della canzone alza la testa e dopo aver sottolineato che “il banchiere ingrassa mentre il lavoratore stringe la cinghia, è già successo prima e succederà ancora, scommetteranno la tua vita”, dopo averlo fatto avvisa “se avessi una pistola cercherei i bastardi e gli sparerei a vista, perché so fare di tutto…”
E un brivido corre lungo la schiena.