(Se la musica classica si recensisse come il rock)
Prima della musica rock, la musica esisteva già. No, non parlo della musica matusa. Ok, lo so : il jazz ed il blues. Ma prima della musica afroamericana? Già, la musica classica, quella musica tronfia e noiosa suonata con l’orchestra, i violini (anzi, gli archi), gli ottoni, i timpani, le file di musicisti ed il direttore con la bacchetta in mano.
E con i suoi generi, o meglio i suoi periodi, perché è durata un sacco la musica classica. Senza tornare al medioevo, semplificando per amore di ordine: barocca nel seicento, classica nel settecento, romantica nell’ottocento. E contemporanea nel novecento, ma lì si vince facile.
D’accordo, è quella musica pesantissima che ad una certa ora, neanche tanto tardi, mettono su Radio Rai Tre e arrivederci: ti sintonizzi per ascoltare l’audiolibro di Ad Alta Voce, o uno spezzone di Hollywood Party, o Wikiradio, e invece quelli hanno messo un CD di ottanta minuti e sono migrati tutti quanti al bar e chi li sente più? No quella è impossibile.
Però c’è una musica classica che già suonava rock’n’roll, come il Beethoven ispirato da Chuck Berry, una gran musica, pur soffocata dagli spartiti, dall’accademia e dal conservatorio, che però talvolta ha un suo perché.
Così, visto che i dischi rock sono finiti, ho pensato bene (dovrei dire: mi è passato nel gulliver) di recensire qualche disco dei vecchi tempi, gli oldies but goodies. I Greatest Hits.
Il primo disco in programma è del grande Ludovico Van (obbligatorio chiamarlo così, voi sapete da quando). Un bel disco enorme - anche se qualche taglio glielo si può dare. Il numero uno dei greatest hits. Si intitola la IX Sinfonia, perché è stata preceduta dal altre otto, ma soprattutto altre tre: la terza, la quinta e la sesta. L’eroica, la Pastorale. La IX si potrebbe battezzare la Corale, ma se la chiamate così non vi capisce nessuno.
Siamo nel 1824, ergo è musica romantica.
Ben inteso, iL Ludovico Van ha inciso anche dei 45 giri, tipo Fur Elise. Anche dalla IX hanno estratto un 45 giri di successo: Inno alla Gioia (sul lato B, il secondo movimento, Warner Bros 1970).
Invece che in due facciate, il disco è diviso in quattro movimenti. Il primo però lo si può saltare senza rimorsi. È definito Allegro, ma sembra un pezzo funebre.
È sul secondo che l’anima comincia a galleggiare, a gioire, a godere. Subito, dal primo attacco dei violini, da quello che non so se è un crescendo, o solo una melodia molto serrata, un ritmo dispari, è una musica magica.
Ne ha fatta una bella cover Walter Carlos - non so se in realtà fosse lui, perché non è suonata per sintetizzatore, o almeno non sembra, ma l’orchestra è passata in un effetto eco che la fa rimbombare come un pezzo new wave.
Dopo una parte così straordinaria come il secondo movimento, ci sta bene l’adagio del terzo movimento, per continuare a veleggiare leggeri, ma anche riprendersi dal batticuore.
Infine: il quarto. Forse il pezzo più bello, luminoso, grandioso, trascinante, splendido, puro mai scritto in musica. Lo chiamano il quarto movimento, ma è un sinfonia per sé, divisa a sua volta in due parti (in realtà quattro). Prima questa grande marcia, che sembra di sollevarsi e volare leggeri verso il nirvana. Poi arriva la voce (il resto della sinfonia è strumentale, come accade si solito). Che diventa un coro. Non ci sono parole per raccontarla. È una salita verso la luce. La prova che non moriremo. Un gran rock’n’roll. Beethoven l’ha scritto come inno alla fratellanza universale. E poi è asceso al cielo, che più in là non si può andare.